Essere un “neurodivergente” è un handicap o una dote?

Immagine di Elena Castagno
(tutti i diritti sono riservati)

Non so come iniziare questo articolo.

Ho la sindrome del foglio bianco. Non perché non abbia idee ma a causa delle ombre che mi offuscano la mente, in questi giorni.

Sono sempre stata “strana”: amavo scrivere ma non volevo far leggere le mie opere, odiavo la noia e cercavo sempre nuovi stimoli, fin da piccola sognavo di crearmi una famiglia ma non mi vedevo come madre, collezionavo maschere ma detestavo chi le indossava nella vita…

Nessuno mi ha mai etichettata, nessuno ha mai pensato di dovermi sottoporre a test neurologici o psicologici… Facevo la mia vita ed andava bene così.

Oggi, invece, appena un bambino mostra un’indole diversa dal solito oppure non rientra negli standard della società, viene subito bollato come “diverso” o “neurodivergente”… Comunemente, viene chiamato “soggetto con tratti dello spettro autistico”.

La neurodiversita’ viene addirittura inserita negli elenchi delle disabilità e viene riconosciuta un’invalidita’ ovvero un’indennità economica.

Non so dire se sia un bene o un male.

Sicuramente alle famiglie fa comodo un aiuto economico ed un supporto con maestra di sostegno a scuola, terapie, ecc…

Ho però enormi perplessità sulla necessità di mettere una sorta di etichetta alla diversità.

È come dire: “se non rientri nel gruppo dei normali, quelli che ragionano in un determinato modo, farai parte del mondo sommerso dei diversi e andrai aiutato perché non raggiungi certi standard sociali”

Chi ha detto che la normalità sta nel primo gruppo e non nel secondo? Con che parametri si misura?

Io non mi sono mai sentita “normale”… Ho sempre fatto scelte diverse dalla media delle mie coetanee. Eppure nessuno si è mai sognato d’inserirmi nel gruppo dei cd. “divergenti”.

Credo che la diversità sia direttamente proporzionale al desiderio di rompere determinati schemi. Di contro, la normalità si adatta perfettamente a chi ha un pensiero semplice e poco articolato.

Van Gogh si è tagliato un orecchio, Einstein era dislessico e contestava le regole, Michelangelo ha preso a martellate una sua statua troppo silenziosa… Oggi sarebbero stati inseriti nel gruppo dei neurodivergenti

Per fortuna sono nati in un’epoca che li definiva geni, anziché diversi!

Forse alcuni di noi sono solo nati nell’epoca sbagliata?

5 commenti

  1. Il Viandante Nero ha detto:

    Concordo sul fatto che ora ogni minimo problema viene subito etichettato come un possibile problema psicologico o neuronale. Da educatore di tre o quattro diverse “generazioni” di ragazzi posso dire che, spesso, ci vorrebbe solo un po’ più di pazienza e di rapporto personale con il singolo, invece di chiudere frettolosamente etichettando il tutto come una patologia.

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    1. Esatto, è proprio ciò che penso anche io… È un peccato etichettare tutto come patologia senza soffermarsi sul caso singolo. È un modo frettoloso e poco comprensivo di gestire le problematiche. Basterebbe un po’ di tatto e disponibilità in più…

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  2. Marzia Di Molfetta ha detto:

    Io ero indietro a scuola perché non memorizzavo i numeri e le date. Ora avrei una spiegazione, ma ai tempi ero solo un asino… Mah! 🤷🏻‍♀️

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    1. È giusto ricevere un aiuto concreto in caso di disagio o problemi… Ben vengano i passi avanti fino ad oggi! Io contesto la parte burocratica, quella che mette il timbro alla persona senza valutare caso per caso. Invece la parte terapeutica, ben venga. Solo, non dovrebbe essere necessario dare un nome al disagio come dislessia, dsa, adhd, ecc… Basterebbe intervenire, senza etichettare per forza

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    2. Tra l’altro pure dare dell’asino è etichettare un disagio. Ci vorrebbe un po’ di tatto, pazienza e voglia di aiutare chi ha il problema

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